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lunedì 11 dicembre 2017

Sentirsi pronti

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Caro professore,
"Si vive una volta sola", "abbiamo solo questa vita": tutte frasi che pensiamo o che ci hanno detto miliardi di volte, ma molto spesso non comprendiamo pienamente questo messaggio. Ci sono persone che interpretano le frasi qui sopra alla lettera e qualsiasi cosa gli si palesa davanti la fanno, senza dare ad essa un peso o un valore emotivo. La mia generazione è la generazione del numero, le esperienze fanno solo numero e si fanno per avere più numeri possibili e non emozioni uniche. Ma per alcuni non è così. Per alcuni le esperienze non fanno solo numero, ma hanno un significato emotivo profondo. Come si può pensare che essendo adolescenti tutto ci verrà perdonato? Come si fa a credere che quello che facciamo ora non influenzerà il nostro futuro? Siamo adolescenti e sbagliamo, sbagliamo come tutti, perché siamo umani, ma il nascondersi dietro a questo essere "adolescenti" e usarlo come la carta bonus per uscire dalla prigione del Monopoli mi pare molto ingiusto e sciocco. Perché ora, ora che abbiamo gli occhi da bambini, ma siamo prossimi alla vita adulta, dovremmo capire cosa è giusto e cosa no, dare un peso a quello che facciamo e non passare il tempo a bere come se non ci fosse un domani, a baciare sconosciuti senza dare un senso a quello che facciamo. Le azioni hanno un peso e un significato che rendono la vita unica e irripetibile. La vita è una, la vita è questa, ma ciò non significa che dobbiamo bruciare le tappe, ma dobbiamo godercele, godercele fino in fondo, perché la vita è fatta di tanti piccoli momenti che dovrebbero darci delle emozioni uniche e irripetibili. È questo che fa sì che si possa dire di aver vissuto veramente. Questo è vivere. Vivere non è fare cose di cui ci vergogneremo, solo per dimostrare la nostra "figaggine" agli altri, ma fare quello che vogliamo con il senno di poi e il continuo riempire il nostro bagaglio emotivo di emozioni vere, perché queste emozioni saranno quelle che ci resteranno e faranno di noi le persone che saremo in futuro. Ha vissuto di più chi ha fatto poche cose, ma con un’importanza emotiva senza eguali o le persone che hanno una lista di cose compiute senza un motivo o un nesso emotivo? Vincono le emozioni e i ricordi con significati profondi o i numeri? Vincono le esperienze originate dal sentimento o quello che viene fatto per dimostrare agli altri chi si è? Vivere è avere un lista di numeri (di persone baciate, di birre bevute, di coma etilici scampati) oppure significa dare un peso a quello che si fa e fare quello che ci si sente di fare nel momento in cui ci si sente pronti?
Elisa, 16 anni


Cara Elisa,
Siamo la «generazione del numero» perché, come diceva già molti anni fa lo psichiatra Aldo Carotenuto (“Il fondamento della personalità”), siamo stati «promossi dalla società a “consumatori”». Abbiamo cioè appiattito le nostre vite sul modello economico che si basa su un semplice principio: se la merce si muove più in fretta produce più profitto. In modo analogo rischiamo di considerare che la velocità delle esperienze indiscriminate produca una vita piena e ricca. Ma non è cosi. Zygmunt Bauman, in “Homo consumens”, ha mostrato che coloro che cercano «di dissolvere il futuro nel presente, e di richiuderlo tutto nell'hic et nunc [qui e ora]» si illudono di possedere il tempo, mentre disperdono invece le energie senza giungere ad una autentica formazione di sé. Hai ragione, chi compie esperienze in modo indiscriminato può logorare e abbruttire il proprio percorso. Fai bene, dunque, a sottrarti a quello che potremmo definire un nuovo imperativo categorico e che Nicole Aubert ha sobriamente definito come obbligo di «consumare la vita» (“Le Culte de l'urgence. La société malade du temps”, Paris, Flammarion). Il culto dell’urgenza, invece di rendere l’uomo padrone del tempo, lo rende asservito. Il tuo atteggiamento è pertanto saggio: desideri dare peso alle  azioni, sei consapevole che le decisioni influenzano il futuro e aspiri a vivere con la tua cadenza l’avventura della vita. Non si vive solo nell’oggi, schiacciati in un eterno presente; ci sarà un domani e fai bene a progettare la tua vita in questa direzione, scegliendo da ora la tipologia di persona che vorrai essere. La qualità della vita non è data dall’accatastamento indiscriminato di eventi nella memoria, ma dalla possibilità di poter scegliere consapevolmente tra alternative. È la scelta che rende significativo un percorso. L’obbligo alla reazione immediata e all’accumulo si addice maggiormente a chi è prigioniero e non signore del tempo. Essere sudditi del tempo significa essere sempre più subordinati a quel meccanismo pulsionale che dal dolore conduce alla noia, direbbe Schopenhauer, ma non a causa della natura intrinseca e desiderante dell’uomo («volontà di vita»), ma a causa di una seconda natura, quella del mercato, che induce ad oscillare costantemente tra godimento e esaurimento («jouissance et épuisement»). I greci avevano due parole per indicare il tempo: chronos e kairos. Il primo rappresenta lo scorrere inesorabile degli istanti, uguali per tutti. Kairos è invece il momento del discernimento: il momento in cui il medico deve prendere una decisione importante o quello più opportuno per tagliare il grano maturo. Il kairos è il «momento giusto» di chi si sottrae all’inesorabile trascorrere degli eventi e sceglie per sé. È un tempo che si coglie e non si subisce. Per questo costituisce il fondamento della vita buona.
Un caro saluto,
Alberto

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