Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 1 maggio 2017

Confidenze e pregiudizi

Risultati immagini per confidarsi a estranei


Caro Professore,
durante queste vacanze sono stata in Croazia per una settimana per svolgere alcuni incontri con altri ragazzi all'incirca della mia età provenienti prevalentemente dall'Italia, ma anche da molti Paesi dell'Est Europa. Con essi, anche se non ci eravamo mai visti prima, si è subito creato un clima accogliente che mi ha permesso di sentirmi totalmente accettata, libera di essere me stessa al 100% e libera di trattare nella più completa tranquillità e assenza di imbarazzo argomenti molto profondi e a volte anche strettamente personali; questo ha fatto sì che si creassero legami d'amicizia molto stretti in pochi giorni. Al ritorno da questa meravigliosa esperienza, che avevo già vissuto negli anni passati, ma mai così forte, ho iniziato a riflettere notando che questo clima così sereno e accogliente trovato in Croazia tra persone sconosciute, non riesco a trovarlo qui, nella mia città, tra i miei compagni di classe e amici di una vita. Eppure a rigor di logica dovrebbe essere il contrario. Come è possibile ciò? Inoltre mi sono domandata: chi dovrei considerare davvero miei Amici con la "a" maiuscola? Quelli con i quali mi sono sentita subito accolta e con i quali mi sono aperta condividendo molte esperienze, ma che probabilmente non vedrò mai più, oppure quelli che vedo tutti i giorni, condividendo la mia quotidianità, ma con i quali sento ancora l'ombra dei pregiudizi?
Domiziana, 4H


Cara Domiziana,
Nel luogo di lavoro, di studio siamo sempre immersi in un preciso contesto. Si tratta di un ambiente sociale definito da coloro con i quali maggiormente entriamo in relazione: amici occasionali che spesso abitano anche nello stesso paese e nella stessa città. A volte l’apertura del nostro cuore a chi già frequentiamo può non essere così facile né conveniente. Non facile, perché parte delle nostre scelte sono condizionate dalla conoscenza dellaltro e dal legame con lui. Cerchiamo di non turbare un amico con eccessive preoccupazioni per evitare che ci giudichi male o ci allontani. Poiché in ogni contesto abbiamo costruito a fatica e nel tempo delle relazioni, sappiamo che per non urtare l’altro non possiamo sempre essere liberi al 100%. Temiamo di essere fraintesi e che cambi la relazione, che muti l’opinione che gli altri hanno di noi e il ruolo che avevamo in passato. Ma l’apertura può anche non essere conveniente, perché nei rapporti di routine si è stabilita una gerarchia relazionale. Più passa il tempo e i legami diventano stabili, meno gli altri sono disposti ad accettare ciò che non si accorda con la loro rappresentazione di noi. Talvolta intuiamo preventivamente persino come essi interpreteranno le nostre rivelazioni e le soluzioni che proporranno, e talvolta temiamo persino che qualcuno possa fare un uso distorto delle confidenze. Non ci preoccupiamo particolarmente del giudizio di chi non ci conosce, perché l’altro non ci ha ancora classificato e non si muove ancora nel nostro contesto relazionale. Il sociologo americano Mark Granovetter ha introdotto il concetto di «forza dei legami deboli», una nozione ripresa sia da Zygmunt Bauman in “Modernità liquida” sia da Richard Sennett ne “L’uomo flessibile”. Quest’ultimo l’ha tradotta così: «per la gente i rapporti occasionali di associazione sono più utili dei vincoli a lungo termine». A volte non sono le persone più vicine che riescono a fornirci le migliori indicazioni: ad esempio, non è detto che i consigli per il lavoro siano più efficaci se forniti dai parenti stretti. Forse una persona che non frequentiamo assiduamente può offrire suggerimenti più utili, perché ha maggiore dimestichezza con un preciso settore lavorativo. C’è anche un altro aspetto da considerare: molto spesso non cerchiamo dagli altri esattamente “una risposta”, ma semplicemente la possibilità di esprimere liberamente i pensieri ricorrenti per poterli valutare senza censure. L’altro ci consente di prendere visione della nostra ideazione e di approfondirne le conseguenze. Poiché accetta e non giudica, ascolta e rimane distante, alla fine della chiacchierata non dobbiamo riconsiderare il rapporto con lui. L’amico vede le nostre contraddizioni, l’estraneo le accoglie come complessità, l’amico vorrebbe che non cambiassimo molto, l’estraneo accoglie la novità. L’amico può entrare in competizione con noi, l’estraneo non ancora. Chi ci conosce si aspetta una coerenza con il passato e fatica ad accettare il nostro cambiamento, l’estraneo non conosce la nostra storia e non ha particolari aspettative. È il vantaggio della novità. Le persone con cui ti sei incontrata, tuttavia, condividevano le tue idee e le tue passioni ed è per questo che ti sei avvicinata a loro. Si sono creati un tempo e un luogo per realizzare delle esperienze. Con le persone che conosciamo non sempre siamo in grado di predisporre uno spazio per incontrarci. Se la novità rappresenta sempre un’apertura totale e un’assenza di “pregiudizio”, quando le nuove relazioni diventeranno più stabili non si creeranno ancora i problemi che notavamo con i vecchi amici? In ogni relazione nascono difficoltà e conflitti. Eraclito diceva che “polemos” è indispensabile e fruttuoso («padre e re di tutte le cose»), però è anche vero che, a volte, dove c’è più leggerezza c’è più libertà.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: