Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 9 gennaio 2017

Il passato che non passa


Gli amici sono meglio della morfina: averne tanti aiuta a sopportare il dolore

Caro Professore,
«Il passato è passato: non esiste più, non c'è fisicamente». Agostino mi ha costretto ad ammettere che il mio rapporto con il passato forse è sbagliato. Il passato non mi dà tregua o forse sono io a non concedergliela. Non riesco a staccarmi in alcun modo perché, in fondo, non desidero farlo. Esempi? Moltissimi. A giugno della classe terza i due amici ai quali ero più legata sono stati bocciati. Oltre che per loro, per me è stato un colpo fortissimo. Dopo quattro mesi di scuola, sento ancora la loro mancanza. Non si tratta di una mancanza che "passerà, sono solo i primi tempi" né "è colpa dei compagni rimasti" come mi è stato detto. Sempre, in ogni momento, percepisco la loro assenza. Cerco di non pensarci ma è qualcosa che va oltre la mia volontà. A volte li detesto per non aver studiato abbastanza e a volte detesto me stessa per non averli aiutati abbastanza. A scuola la mia mente è sempre altrove : con loro, un anno fa. Un anno fa ho lasciato il Conservatorio che è stato il mio più fedele compagno di vita per sei anni. E' stata una scelta molto pensata e sofferta (e anche la più sbagliata, a dire il vero!). Riempio le mie giornate con un milione di attività ma nessuna di esse riesce ad eguagliare quello che mi dava il Conservatorio. Ancora una volta la mia testa è da un'altra parte: seduta su uno sgabello o a lezione di coro. L’esperienza delle Giornata Mondiale della Gioventù produce su di me lo stesso effetto. Vivo il presente come un miscuglio di ricordi, rimpianti e nostalgia: un cocktail fatale, direi. "Era meglio prima" è diventato il mio motto ormai. E' proprio vero che il passato non esiste più? E se io vivessi in un eterno passato? Grazie mille.
Chiara, 4 H


Cara Chiara,
Agostino nel capitolo XI delle “Confessioni” afferma che se il tempo passato non esiste più, non tutto è dissolto perché esiste tuttavia il “presente del passato”, ossia l’attualizzazione degli eventi attraverso la memoria. Ma ciò significa che siamo sempre in dialogo con la nostra storia ogni volta che riportiamo qualche fatto alla nostra attenzione, perché cerchiamo di ricomprenderlo o, come dici tu, di sottoporlo al tribunale del nostro giudizio, perdonandolo o condannandolo. Se i neonati vivono solo il qui ed ora (hic et nunc), perché il loro cervello non è ancora in grado di registrare e recuperare i ricordi e dunque agiscono per qualche anno solo in una dimensione fatta di bisogni immediati, già a partire dall’infanzia i bambini abitano una sorta di tridimensionalità temporale. Si immergono nel passato, vivono il presente e anticipano il futuro. Così anche il presente non è un tempo separato e neutrale. L’attenzione stessa, che è la nostra modalità di vivere il presente, è condizionata da quel «cocktail fatale» di «ricordi, rimpianti e nostalgia». Ognuno porta dentro di sé tutta la propria storia, quella vissuta e quella interpretata, quella selezionata e quella che fatica ad accettare e vorrebbe respingere. Purtroppo, non solo i ricordi belli di solito sono significativi. Così, talvolta, le esperienze dolorose non ci “danno tregua”  (il passato ci insegue tutto intero, direbbe Henri Bergson), segnano maggiormente il nostro agire e condizionano la modalità con cui descriviamo le esperienze. Non solo il passato non si estingue mai in quanto ci costituisce – in fondo assimiliamo continuamente da esso idee e visioni del mondo –, ma genera valori, condiziona bisogni, conquista fantasie e orienta desideri. Grazie alla tua sensibilità ti interroghi se gli eventi scolastici avrebbero potuto avere un esito diverso e riconsideri tutte le variabili: i compagni avrebbero potuto studiare di più, tu e i tuoi amici avreste potuto coinvolgerli maggiormente e forse – aggiungo io – la scuola avrebbe potuto puntare maggiormente sulle potenzialità. Quello che è avvenuto ha determinato una realtà diversa, si è creato uno strappo, e la lontananza ora alimenta una forte lacerazione sentimentale. Se la prossimità dava senso alle tue giornate, l’assenza ha generato un vuoto fisico e una sospensione relazionale. I compagni assenti in classe vivono in te e continuano ad essere una presenza silenziosa che solo tu sai vedere. Come si fa allora a vivere serenamente se il passato crea una curvatura così accentuata dell’attenzione e dello sguardo? Innanzitutto non sentirti responsabile per la loro assenza: ogni persona ha i suoi tempi per maturare, per capire ciò che è importante nella propria vita ed eventualmente per sceglierlo. Puoi mantenere il rapporto con i tuoi amici fuori dalla classe, nell’intervallo o in altri ambiti. Per non vivere in un «eterno passato» devi considerare che i rapporti interpersonali cambiano, anche indipendentemente dalle nostre intenzioni. Se ti concentri troppo sulle possibilità non realizzate non riuscirai ad originare nuovi legami significativi. Così, è preferibile che tu dia valore in classe alle relazioni con i tuoi compagni e fuori dalla scuola continui a coltivare le vecchie amicizie. C’è un antico aforisma sanscrito, della lingua della civiltà indiana classica, che esprime un atteggiamento molto saggio nei confronti del tempo. Dice: «Ieri è già un sogno / E domani solo una visione / Ma l'oggi ben vissuto fa di ogni giorno passato un sogno di felicità / e di ogni giorno futuro una visione di speranza». Vivere bene il presente consente di generare buoni ricordi e di avere fiducia nel futuro, ma soprattutto aiuta ad accettare ciò che non dipende da noi senza patire eccessivi sensi di colpa.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: