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Cor-rispondenze

lunedì 30 novembre 2015

Sempre uguale o diversa?

chi sono io
 
 
Caro professore,

Mi faccio una domanda tante volte, ma non mi do una risposta: «io mi vedo in un certo modo, ma sono così perché è quello che dovevo essere da principio o perché è stato ciò che mi circondava a rendermi così?». A volte ho paura di non essere davvero me stessa, in particolare davanti alle situazioni più complicate, quelle che mandano in frantumi le mie certezze confondendomi ancora di più le idee. Ma quando le acque si calmano penso: «e adesso…questo mi ha cambiata? No, no, sono sempre la stessa»…o almeno è quello che credo, perché non so riconoscere quando agisco per la mia volontà e quando seguendo quella degli altri…Alla fine non sono sempre io che decido? Sia quando decido di stare per conto mio sia quando decido di seguire gli altri. Non so se c’è una differenza tra queste due cose, poiché non riesco mai a trovarla. Non sento l’influenza degli altri, subito, lì sul momento, quando sto per compiere un’azione…la vedo solo dopo, quando ciò che è successo diventa un ricordo, bello o brutto fa niente, ormai è lì che vaga nella mente, e a quel punto inizio a fare i conti con tutti i suoi difetti, ovvero ciò che avrei potuto fare meglio, in modo diverso magari. E allora vedo l’influenza degli altri, soprattutto delle persone che mi stanno più a cuore, quelle più presenti nella mente e nei pensieri…eppure non posso dare la colpa a loro per i miei comportamenti, anche se mi viene da chiedermi se comunque ne sono loro i responsabili.
Irene, IA
 
Cara Irene,
Quando rileggiamo i nostri comportamenti, soppesiamo il vissuto, le situazioni conflittuali, l’assenso dato ad una proposta, un giudizio espresso in una certa occasione, ricaviamo degli indizi utili sulle modalità con cui abbiamo agito e cerchiamo di individuare i fattori che hanno determinato pensieri e azioni. Meditando su quanto accaduto ci configuriamo alternative differenti o cerchiamo di riconoscere ciò che ha indirizzato un certo tipo di risposta. Ci interroghiamo su quale sarebbe stato il comportamento ideale o su quanti individui abbiano influito nella nostra vita emotiva nella costruzione della nostra personalità. Ci chiediamo pertanto quanta autonomia c’era in una certa reazione, quanta consapevolezza e quanta incoscienza si nascondevano dietro ad una scelta. Temiamo a volte di agire come automi impersonali, un po’ anonimi, più rispondenti ai desideri degli altri che ai nostri. In “Liberi servi. Il grande inquisitore e l'enigma del potere” [2015] Gustavo Zagrebelsky, esaminando il rapporto tra l’uomo e la legge, distingue tra “uomo-individuo” e “uomo-massa”. Secondo l’autore, il primo «afferma la sua sovranità rispetto ad altrui modelli di comportamento», mentre il secondo «corrisponde alle forze omologanti entro le quali egli crede d'esercitare la sua libertà e, invece, la mette al servizio di strutture relazionali che gli preesistono, sovrastandolo». A volte assumiamo il punto di vista dell’altro non solo assecondandolo, ma inconsciamente, e solo successivamente comprendiamo quanto è avvenuto. C’è sempre il rischio di essere «liberi servi». Ma chi è il soggetto che decide? Il filosofo contemporaneo Richard David Precht ha pubblicato un libro intitolato “Ma io, chi sono? (Ed eventualmente, quanti sono?)” per sottolineare la pluralità delle voci che costituiscono il soggetto che agisce. Diventare autonomi è un processo lento e non necessariamente destinato al successo. Per il semplice motivo che il “condizionamento” sociale (genitori, ambiente, libri) è anche la “condizione” stessa (ossia il presupposto) per pensare, ed è per questo che è difficile discernere esattamente se il grado di condizionamento suggerisca o determini una scelta. Poiché desideriamo essere protagonisti delle nostre trasformazioni, essere in grado di governarci e darci una direzione, vorremmo collocare sullo sfondo ciò che proviene dalla storia, dalle abitudini e dalle persone care di riferimento. Tuttavia, credere di poterci liberare da tutti i vincoli per essere autenticamente noi stessi è illusorio. Dobbiamo rassegnarci: ci sono suggestioni di cui siamo consapevoli e influenze che ignoriamo. Scegliere come indirizzare la propria vita significa però decidere cosa accogliere, scartare o riadattare della tradizione. Non esiste un io incontaminato che ci segue, come una scatola nera che liberata dai sedimenti che la soffocano possa rivelare la propria vera natura; esiste piuttosto un’idea della persona che vorremmo essere che ci guida nella edificazione dell’unicità della vita. Un’idea che corrisponde a ciò che ha valore per noi. Il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau ne “Il contratto sociale” scriveva che «l’obbedienza alla legge che ci si impone è libertà, e nessuno può rendere se stesso schiavo». Per poter diventare liberi e non ridursi ad essere “liberi servi”, perché non si riconoscono i vincoli o i presupposti che orientano le scelte individuali, occorre vagliare quello che viene proposto e dare a se stessi una legge. Non importa da dove arrivano i condizionamenti, seleziona quelli che ritieni buoni e falli tuoi. La responsabilità di una condotta, sia che ad essa abbiano contribuito in percentuale maggiore o minore le persone care con cui condividiamo la vita, è tuttavia sempre soggettiva. Diventerai libera, allora, perché invece di assecondare gli istinti o la tradizione ti muoverai intorno a ciò che hai ritenuto valido per te. Così sarai certa di “essere davvero te stessa”. L’obbedienza ad una legge scelta è un atto di libertà che genera autonomia.
Un caro saluto,
Alberto

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