Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 5 ottobre 2015

Le amicizie "on-line"



Caro professore,
l’altro giorno ero in giro per Alba insieme ad una mia amica ed abbiamo notato una ragazza di 16/17 anni seduta in un bar con una sua coetanea. Entrambe avevano il cellulare in mano e non si guardavano. Ogni tanto una faceva vedere all’altra qualcosa sul cellulare, l’altra commentava distrattamente senza soffermarsi a guardare l’amica. Quasi non volevo crederci, a mio parere per passare del tempo così è meglio stare a casa o uscire con altre persone, ma invece avevo già visto la stessa scena con le stesse persone altre volte. Quando esco con le mie amiche io non vedo l’ora di raccontare loro cosa è cambiato da quando ci siamo viste l’ultima volta, di ridere e scherzare con loro, ma a quanto pare non per tutti è così. Detto questo, secondo me i cellulari andrebbero lasciati in una borsa quando si esce con gli amici, per evitare di annoiare e di annoiarsi, facendo così si potrebbe (a mio parere) recuperare il tempo non passato insieme agli amici al fine di non distruggere i legami. Lei cosa ne pensa? Anche secondo lei non ha un senso essere “amici” in rete o su whatsapp se poi non ci si parla faccia a faccia?
Marta, IC
 

Cara Marta,
Il filosofo tedesco Martin Heidegger nell’opera “Essere e tempo” (vedi il § 35) ha preso in considerazione anche le più elementari modalità relazionali e ha affermato che la “chiacchiera” – che pure secondo l’autore connoterebbe l’«esistenza inautentica» – «non ha alcun significato spregiativo». Anzi, ha sostenuto che essa deve essere considerata un «fenomeno positivo», poiché è il modo di essere della comprensione e della quotidianità dell’uomo (Esserci). Ma dalla tua descrizione pare che qui siamo un passo indietro persino rispetto alla chiacchiera, quindi, secondo l’autore, a mille anni luce dall’autenticità dell’esistenza. Ma lasciamo Heidegger. La volubilità dell’attenzione interpersonale è spesso segno della superficialità delle relazioni e la progressiva perdita dell’interesse connota la frivolezza del rapporto. Le amiche che descrivi sembra che assimilino il mondo confinate nel loro mutismo. La scena che hai visto ripetersi più volte tra le due compagne rappresenta una modalità passiva della relazione: è un ricevere il mondo senza elaborarlo. Forse è dovuta a un momento di stanchezza reciproca, ma se fosse una condizione abituale di un’esile amicizia (come tu affermi) in cui entrambe le ragazze sono spettatrici distratte e non protagoniste della propria vita allora il loro legame rivelerebbe una grande povertà cognitiva, affettiva e relazionale. Pare che non abbiano nulla da raccontare, ma soprattutto nulla da dir-si ossia da “dire di sé”. E dire di sé significa rivelarsi all’altro, manifestare la propria modalità di guardare il mondo, di accoglierlo e di relazionarsi ad esso, di entusiasmarsi o di respingerne alcuni elementi, di prendere parte alla vita affettiva, sociale e anche politica. Nel dialogo (ad alta voce o interiore) si origina la comprensione che è sempre un’interpretazione di ciò che accade. Insieme agli amici si condivide e si decodifica la realtà, se ne fa una continua esegesi: un’esegesi che spesso parte da sé, si amplia a cerchi concentrici a ciò che accade intorno per poi ritornare a comprendere meglio se stessi e la propria relazione con il mondo. Gli amici bramano «recuperare il tempo non passato insieme», perché pretendono di sentire vivo il legame e la condizione per avvertire l’intensità di un rapporto è quella di alimentarlo con le parole e con i sentimenti. Il venir meno dell’attenzione interpersonale è tuttavia un segnale da non sottovalutare e il filosofo tedesco Wilhelm Schmid ne «L’amicizia per se stessi. Cura di sé e arte di vivere» (Fazi editore, 2012) ci aiuta a capire perché. Egli scrive infatti che «Così come l'io che impara a fare a meno dell'attenzione da parte di altri si sente misconosciuto, allo stesso modo, a causa della mancanza di attenzione verso se stesso, l'io smette di riconoscersi». Le due forme di insufficienza di attenzione citate dal Schmid sono davvero nocive, da un parte perché il venir meno dell’interesse dell’altro produce frustrazione. Se non avvertiamo di essere importanti per qualcuno se non veniamo convocati neppure dallo sguardo di un amico rischiamo di rintanarci piano piano nel silenzio dell’apatia e dell’indifferenza fino a scomparire. Ma c’è una seconda carenza di attenzione altrettanto deleteria, ed è quella verso se stessi, perché segnala che un soggetto ha rinunciato a prendersi cura di sé («L’io smette di riconoscersi»). È la relazione con gli amici che attiva tutta la persona, la sua creatività, i suoi ricordi, i suoi progetti. Se ci abituiamo a fare a meno dell’attenzione degli altri rischiamo di perdere fiducia nella nostra capacità di suscitare l’interesse o persino di essere degni di attenzione e inconsciamente accettiamo che la nostra vita non sia così importante cessando di coltivare ciò che è essenziale per noi. La faccia (dal latino facies, ossia dal verbo facio, fare) è la parte del corpo che più si modella nella relazione. I volti che non si guardano rimangono impermeabili e piano piano appassiscono nella solitudine. Molti tuoi compagni soffrono, ma  non sanno riconoscere le cause del proprio malessere. Dobbiamo pertanto reimparare a tenere le cose al proprio posto: il cellulare in tasca e gli occhi negli occhi dell’altro, perché solo così il nostro volto e la nostra vita riprendono forma.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: