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Cor-rispondenze

lunedì 11 maggio 2015

Soffocati dall'orgoglio


Caro professore,
Ieri stavo pensando a quante volte l’orgoglio soffochi le nostre emozioni che a loro volta non possono farsi spazio al di fuori della nostra personalità. È giusto mantenere questa maschera di orgoglio? Eppure, pensandoci, l’orgoglio è solo uno dei tanti castelli in aria che ci costruiamo per nasconderci dietro la nostra immagine per paura di esporci veramente. Perciò, in questo caso, sarebbe il nostro subconscio che ci induce a mettere dei paletti ai nostri sentimenti. Come facciamo a capire quando è giusto che l’orgoglio prenda il controllo di noi stessi oppure che in realtà ci stiamo autodistruggendo?
Daniela, IV A

Cara Daniela,
L’orgoglio è certamente una “maschera” che impedisce l’incontro con l’altro. Forse è un meccanismo di difesa che ci tutela dalla svalutazione altrui. Ma chi usa l’orgoglio per affermarsi, perché teme di non ottenere sufficiente riconoscimento, è probabile che non abbia adeguata fiducia in sé. Pensiamo sempre all’orgoglio come ad una sorta di atteggiamento individuale, ma un tempo c’era anche l’orgoglio di classe: rampolli aristocratici tronfi della loro appartenenza privilegiata. Ricorderai il libro “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen (1813) in cui Mr. Darcy si rifiuta di ballare con persone che non sono del suo stesso rango. Charlotte Lucas, amica della protagonista del romanzo Elizabeth, è persino pronta a trovare una giustificazione per quel comportamento altezzoso. Ella afferma infatti che: «Non ci si può meravigliare che un giovanotto così elegante, di buona famiglia, ricco, con tutto a suo favore, non abbia un'alta opinione di sé. Se posso esprimermi così, ha diritto a essere orgoglioso. Ma l’amica replica: «È verissimo, [...] e potrei facilmente perdonare il suo orgoglio, se non avesse mortificato il mio». Ecco qua il punto: l’orgoglio altrui può mortificare il nostro. L’orgoglio umiliato provoca la collera, diceva Voltaire. «Un uomo che in guerra viene colpito da venti colpi di fucile, non va in collera. Ma un teologo ferito dal rifiuto di un assenso, diventa furioso e implacabile». In questo caso l’orgoglio di Mr. Darcy è una sorta di tracotanza nelle relazioni. Ma l’orgoglio è sempre una forma di eccesso? Non abbiamo avuto dell’orgoglio sempre la stessa idea. E anche oggi il significato di tale concetto non è univoco. Per gli antichi l’orgoglio era la «giusta considerazione di sé». Aristotele nell’“Etica nicomachea” pone la magnanimità (l’orgoglio) come virtù intermedia tra la vanità e l’umiltà. Se l’umiltà può condurre all’umiliazione del soggetto, la vanità è all’opposto un’illusoria e disperata esaltazione di sé. Ma anche per il filosofo scozzese David Hume, nel “Trattato sulla natura umana”, il significato è analogo. Scrive l’autore: «preciso che per orgoglio intendo quella piacevole impressione che nasce nella mente quando ci sentiamo soddisfatti di noi stessi per la nostra virtù, bellezza, ricchezza o potere». Ad un certo punto della propria storia, l’uomo ha cominciato a considerare non solo il giusto sentimento del proprio valore, ma ha esagerato l’opinione dei propri meriti, ha sopravvalutato i pregi, le forze ed ha assunto un atteggiamento altezzoso nei confronti degli altri. In un attimo la consapevolezza del valore e della dignità della persona si è dissolta in atteggiamenti di boria ed arroganza. Qualcosa ci è sfuggito di mano. Se affermiamo infatti che una persona è orgogliosa, è più facile che la riteniamo superba che semplicemente contenta e soddisfatta di sé. Secondo Hume l’orgoglio e l’umiltà sono passioni che pur essendo diverse hanno il medesimo oggetto. Questo oggetto è l’io, che per il filosofo non è esattamente un oggetto (una sostanza), ma «quella successione di idee e di impressioni correlate di cui abbiamo intimamente memoria e consapevolezza». Concentrati sul nostro io, a seconda che l’idea che abbiamo di noi stessi sia più o meno favorevole proveremo l’una o l’altra di queste affezioni. Così potremmo essere «sollevati dall'orgoglio o abbattuti dall'umiltà». L’autore ci ricorda che anche quando la nostra mente prende in considerazione altri temi lo fa sempre avendo di mira il soggetto, tanto che «quando non è l'io l'oggetto della nostra considerazione, non c'è più posto né per l'orgoglio né per l'umiltà». Certo, possiamo essere orgogliosi della nostra bellezza, della nostra casa, di qualche qualità, della nostra famiglia, di un lavoro ben fatto, di un obiettivo raggiunto. Ma, come diceva Mary Bennet (sorella di Elizabeth) «L'orgoglio appartiene più all'opinione che abbiamo di noi stessi, la vanità a quello che vorremmo che gli altri pensassero di noi». E l’eccessiva opinione di se stessi può portare all’autodistruzione o soffocare, perché ostacola gli incontri autentici, reprime la vitalità ed estingue la curiosità dell’altro. Se, come diceva Hume, è il nostro io ad essere «il vero oggetto della passione», allora quell’io può diventare ipertrofico e non avvertire più l’altro. Avere una giusta opinione di sé consente invece di comprendere i propri punti di forza e di debolezza, le proprie fragilità e quelle altrui. Allora è opportuno essere orgogliosi, ma non superbi, compiacersi senza essere altezzosi, essere soddisfatti di sé senza essere arroganti: chi ha una giusta stima di sé non teme lo sguardo dell’altro e non sente il bisogno di sminuirlo ed ha maggiore facilità nell’instaurare relazioni positive.
Un caro saluto,
Alberto

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