Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 6 ottobre 2014

La mia madrepatria

Tour Of Croatia And Bosnia & Herzegovina
 
Caro professore,
Mi sono sempre chiesta perché tra tutti i posti al mondo io e la mia famiglia siamo venuti a vivere in Italia. È partito tutto dal fratello di mio padre il quale era qua e così siamo venuti anche noi, Ma perché? Perché anche lui doveva venire in Italia? Io preferisco vivere in Bosnia e spero di riuscire a tornarci per sempre.
Sanela, III D

Cara Sanela,
Lo scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal, vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, paragonava la sofferenza della lontananza al tormento che un uomo prova quando costeggia su una grande nave il proprio luogo natio e lo contempla a distanza: «E ne vede / le vie, ne sente gorgogliare le fontane, odora / il profumo dei glicini, se stesso vede / bambino, stare presso la riva, con occhi di fanciullo / che sono angosciati e vogliono piangere, vede / per la finestra aperta la luce della sua camera - / ma la grande nave lo porta / oltre, scivolando senza suono sull’acqua blu cupo / con gialle gigantesche vele di foggia straniera». Nei luoghi d’infanzia ognuno vede se stesso bambino e, data la giovane età, tu rivedi tutta la tua storia e non solo parte di essa. Tuttavia, la vita in cui siamo imbarcati a volte impone di riscrivere il nostro destino in altri luoghi. Belli, ma stranieri. Ossia estranei. Così l’allontanamento fisico si tramuta in un esilio dalla propria origine. La madrepatria è terra d’origine, ma l’origine non è solo il punto di partenza, è ciò da cui discendiamo, la fonte che alimenta la nostra vita. Per questo la lontananza genera dolore, perché ci sottrae parte di un nutrimento essenziale. Soffri perché a sedici anni vivi un allontanamento imposto dal luogo della tua formazione. A volte crediamo superficialmente che per migliorare le condizioni di vita l’abbandono di certi luoghi sia una sorta di necessaria liberazione, ma dimentichiamo che la vita di ciascuno è plasmata dagli odori e dai colori dei luoghi natii; ed è come una pianta strappata dal terreno con le radici, che ha bisogno di molto tempo per reinserirsi in un nuovo ambiente e radicare. Eugenio Borgna ci ha insegnato quanto questa esperienza di «lontananza emozionale e di indicibile estraneità» sia dolorosa. La patria, è qualcosa di più della «terra dei padri». I tedeschi usano la parola Heimat, che ha una connotazione semantica più forte, contiene all’interno la parola «Heim», casa, e indica il luogo in cui si è nati o in cui si ci sente a casa. Lo storico Hermann Heidegger – figlio del filosofo del Novecento Martin Heidegger – racconta che hanno la stessa radice «Heim», casa, «Heimat», patria e «heimlich», segreto. In questo senso nel luogo d’origine si percepisce un’intimità e ci si sente a casa, perché si avverte che qualcosa ci protegge, facilita le relazioni e ci tutela; si sente che il luogo natio custodisce il “segreto” della nostra vita, ciò che di più intimo abita in noi. Il tuo amore per la Bosnia è davvero speciale, perché alla fine dichiari che vorresti ritornare là «per sempre». L’avverbio temporale segnala il profondo legame con il tuo mondo: «per sempre», infatti, non è solo un modo di dire, ma è la formula di un promessa solenne, di un impegno amoroso, quasi un voto. Seneca scriveva a Lucilio: «Ulisse si affretta verso le rupi della sua Itaca come Agamennone alle famose mura di Micene; nessuno ama la patria perché è grande, ma perché è sua». Questo attaccamento è consistente, perché senti una forte appartenenza alla tua terra, la senti “tua”. Tuttavia, l’origine non è solo un punto nel passato, né una derivazione, ma è un processo. E nel processo della crescita ci sono momenti di estraniazione più o meno forte. Il processo è dato da un insieme di avvenimenti che devono accadere. In questo senso quello che ci costituisce è solo iniziato, ma può proseguire ovunque. Lo scrittore Claudio Magris, nel libro “L’infinito viaggiare” (Mondadori 2008), dice che la casa natale non è necessariamente nell’infanzia, ma si trova alla fine del viaggio. Scrive Magris: «Quest’ultimo è circolare; si parte da casa, si attraversa il mondo e si ritorna a casa, anche se a una casa molto diversa da quella lasciata, perché ha acquistato significato grazie alla partenza, alla scissione originaria. Ulisse torna a Itaca, ma Itaca non sarebbe tale se egli non l'avesse abbandonata per andare alla guerra di Troia, se egli non avesse infranto i legami viscerali e immediati con essa, per poterla ritrovare con maggiore autenticità». Ti auguro di ritrovare la tua patria, ma ti assicuro che il luogo che ospita tutti noi ha bisogno anche di te, della tua storia e della tua esperienza; compagni e insegnanti ti vogliono bene e la tua presenza arricchisce tutti di una cultura di cui nessuno può fare conoscenza autentica se non tramite la tua voce. Come tu ami molto la tua città, Dante amava moltissimo Firenze, perché era nato lì («noi, che pure prima di mettere i denti abbiamo bevuto l’acqua dell’Arno e amiamo Firenze»). Poiché ora anche tu sei una fonte che alimenta la vita di altre persone, nella trama delle relazioni ci aiuterai a considerare che, oltre alle nostre piccole e care Heimat, come scrive Dante, dovremo imparare ad avere «per patria il mondo, come i pesci il mare» (De Vulgari Eloquentia,(libro I, VI).
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: