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Cor-rispondenze

lunedì 22 settembre 2014

I filosofi si ascoltano?

Caro professore,
Le scrivo una domanda che mi incuriosisce molto. Tutti i filosofi che conosciamo hanno elaborato differenti teorie sull’essere, a volte partendo da zero e altre volte ispirandosi al pensiero di altri filosofi. Ma ognuno di essi considerava esatto solamente il proprio pensiero o teneva conto e rispettava anche altre idee?
Marco, IVB

 

Caro Marco,
È impressione comune, studiando la storia della filosofia sui manuali scolastici, che il filosofo appena studiato sia più significativo di quello precedente. Spesso, quando si comprendono le riflessioni raffinate di qualche autore e si ha il tempo di affiancare per un tratto di strada il suo sguardo sul mondo (ossia di valutare le argomentazioni razionali che sostengono una teoria), si ha l’impressione di assistere ad un costante parricidio, una sorta di battaglia in cui l’ultimo filosofo pugnala il proprio maestro. Come se i filosofi, inebriati esclusivamente dalle proprie intuizioni o dai propri percorsi di ricerca, fossero sordi ai grandi lavori precedenti. Forse hai avuto anche tu la percezione che il pensiero di un autore abbia completamente azzerato i presupposti di un altro sistema filosofico. Così se si mettono a confronto Aristotele con Platone, Tommaso con Agostino, Bacone con Aristotele, Spinoza con Cartesio, Kant con Hobbes e Locke, Hegel con Kant e così via. Per questo alcuni tuoi compagni chiedono spesso: «prof., qual è l’ultimo filosofo», magari per risparmiarsi un po’ di fatica e di delusioni, dovendo dolorosamente abbandonare i presupposti a cui si erano affezionati. Certo, alcuni filosofi non sono stati teneri con i precedenti: Bacone definiva Galeno un «disertore dell'esperienza», Platone uno «sfacciato cavillatore» e Aristotele un «detestabile sofista». E neppure Schopenhauer usava molto “fair play” con i suoi contemporanei: definiva Schelling «pagliaccio», diceva che Hegel «scarabocchia[va] impudentemente» e considerava la sua filosofia una «pseudofilosofia», un «mo­struoso susseguirsi di parole che si annullano e si con­traddicono». Al di là di queste spietate valutazioni, dovute a diverse scelte valoriali o a simpatie personali, occorre dire che ogni filosofo sa che la verità è inesauribile e che il proprio sguardo è limitato dal periodo storico, dagli interessi e dalla discussione del proprio tempo. Non dobbiamo pensare la storia della filosofia come se alla «volontà di verità» si sia sostituita la «volontà di potenza», come se al desiderio autentico di conoscere a fondo la vita si sia sostituito il desiderio di vincere nel prestigio e nell’influenza per una maggiore affermazione di sé. È famoso il detto di Aristotele «amicus Plato, sed magis amica veritas» («sono amico di Platone, ma più amico della verità»), ma si racconta che anche Newton, mentre prendeva appunti su Aristotele si sia fermato bruscamente e dopo aver lasciato molte pagine bianche, abbia scritto in una nuova pagina: «Amicus Plato, amicus Aristoteles magis amica veritas», («Platone è un amico, amico è anche Aristotele, ma l'amica mia più grande è la verità»). Insomma la verità è più importante dell’amicizia e della fama, del rispetto e della tradizione. Tuttavia, i filosofi dialogano tra loro incessantemente, non solo perché la vita fa emergere nuovi problemi o apre nuovi spazi alla riflessione, ma perché è proprio dalla discussione razionale che emergono le debolezze e i punti forti di un’idea. La filosofia è dialogo continuo in cui il conflitto – polemos – tra le idee è inevitabile. Se ti capita di prendere in mano la “Summa theologica” di Tommaso D’Aquino, scoprirai che per circa 600 questioni (3122 articoli!) Tommaso riporta le tesi a favore o contro dei filosofi precedenti, prima di affermare le proprie ragioni. Era il modo di lavorare della Scolastica, ossia della filosofia cristiana medievale. Ma il dialogo tra filosofi è strutturale e continua incessantemente. Più che da eccentricità individuali, le differenze dipendono da una diversa adozione di presupposti. Il filosofo analitico americano Nicholas Rescher ne “La lotta dei sistemi”, analizzando i fondamenti e le implicazioni della pluralità filosofica, ha mostrato sia che la filosofia è un’impresa conoscitiva di carattere razionale sia che la “lotta” – la pluralità filosofica – è ineliminabile. Le buone ragioni e le buone argomentazioni («ragione probativa») riflettono infatti gli obiettivi e i valori di chi scrive («ragione valutativa»). Il «pluralismo degli orientamenti» deriva dal fatto che ogni indagine è orientata da certi valori cognitivi e il disaccordo sulle dottrine dipende da una divergenza su ciò che ogni autore ritiene importante o marginale. Così, la forza di un’argomentazione non è mai assolutamente oggettiva, perché riflette scelte e valori di chi pensa e scrive. Anche quando gli autori si occupano di uno stesso problema, quando organizzano il proprio sistema stabiliscono ciò è «centrale e periferico», ossia ciò che è significativo e ciò che può passare in secondo piano. Potremmo dire, con Rescher, che «il problema dello standard con cui si deve propriamente giudicare un dato valore è esso stesso un problema di valori». Dunque: niente di personale, in filosofia.
Un caro saluto,
Alberto

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