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Cor-rispondenze

lunedì 14 febbraio 2011

Il senso della vita



Caro professore,
La vita ha un senso? Tutti se lo chiedono prima o poi. Perché siamo qui? Io non lo so. Secondo me nessuno lo sa. Forse lei professore cercherà di rispondermi con qualche frase, magari detta da qualche personaggio importante, ma in fondo io so che quel personaggio importante sarà soltanto un uomo come noi, come tutti noi che ci poniamo questa domanda. Ognuno di noi trova la risposta in qualcosa come l’AMORE, come l’AMICIZIA… Io la risposta non la trovo… anche se sono credente e a volte trovo la risposta in una vita ultraterrena, quella tanto promessa da Dio ai buoni… Credo che la maggior parte delle volte la risposta sia che la vita non ha senso… Ma se ci fosse qualcuno che è disposto a dirmi il senso di questa VITA, allora me lo dica, proverò ad ascoltare anche se credo che un uomo non possa darmi una risposta. Cercherò lo stesso di ascoltare e apprezzare la risposta, per una volta.
Enrica



Cara Enrica,
Quando sorge l'interrogativo sul senso della vita? Potremmo dire che si può presentare in ogni momento dell'esistenza. Certo. Ma l’interrogativo affiora in modo particolare quando accade qualche evento drammatico, di solito la perdita di una persona cara. Il dolore attenua la fiducia nella vita e magari provoca un mutamento improvviso del paradigma con cui attribuiamo ad essa dei significati. Talvolta, però, è proprio a partire da un momento di smarrimento che possiamo accogliere nuove valutazioni dell’esistenza. Chissà che il senso della vita non cambi con l’età o con la vecchiaia o con la malattia. Che ci siano pertanto più sensi che gli uomini attribuiscono alla vita in periodi diversi. Innanzitutto dobbiamo chiederci se gli uomini si sono sempre posti questo interrogativo nella storia. Probabilmente sì, diremo noi, perché ogni uomo prima o poi cerca di comprendere il motivo per cui è “al mondo”. Ma pare che storicamente non sia andata esattamente così.
Come fa notare il teologo e filosofo svizzero Hans Kung (1928) nel libro “Ciò che credo” [2009], Rizzoli 2010, "Per secoli gli uomini non si sono assolutamente posti l'interrogativo sul senso della vita". […] "Per gli uomini della Bibbia ebraica, così come per quelli del Nuovo Testamento, e anche nel Medioevo, interrogarsi sul senso della vita era irrilevante. Perché? Perché partivano dal presupposto che questa domanda aveva già una risposta. Da sempre. Il senso della vita era certo: era Dio e l'osservanza dei suoi comandamenti. E questa fede del singolo era condivisa dall'intera comunità dei credenti. Perché preoccuparsi allora di indagare se la vita del singolo in quanto individuo avesse un senso particolare? ". Pare dunque che questo interrogativo sia tipico dell’età moderna. Hans Kung - che è molto preciso -, individua anche il primo che formulò (per iscritto) tale domanda. A noi può suonare strano, ma fu Giovanni Calvino. Scrive infatti Kung: “Calvino fa iniziare il suo Catechismo del 1542 con la domanda: «Qual è il principale fine della vita umana – la principale fin de la vie humaine?» La risposta è lapidaria: «C'est de connaitre Dieu – è conoscere Dio». E continua: perché? «Perché ci ha creati e fatti nascere affinché Egli sia glorificato in noi.» Senso e fine della vita umana è dunque la gloria di Dio, la gloria Dei. I catechismi cattolici introdussero la domanda soltanto nel XVII secolo. E la risposta standard diventò quella della formula che mi ricordo anch'io da quand'ero bambino: «Perché siamo sulla terra? Per conoscere, amare e servire Dio sulla terra, per goderlo poi in cielo (o: giungere alla vita eterna)» .” Saranno i liberi pensatori inglesi del ‘600, ad esempio Anthony Collins, John Toland, Matthew Tindal, poi i filosofi illuministi e i materialisti dell’Ottocento a suggerire altri significati della vita. Nel ‘900 il sociologo Max Weber (La scienza come professione) scriveva: “è destino della nostra epoca, con la razionalizzazione e l'intellettualizzazione a essa propria, e soprattutto con il suo disincantamento del mondo, che proprio i valori ultimi e più sublimi si siano ritirati dalla sfera pubblica per rifugiarsi nel regno oltremondano di una vita mistica o nella fratellanza delle relazioni immediate tra gli individui». ” Viviamo dunque in un mondo “disincantato”, e questo disincantamento è avvenuto per opera della ragione e della tecnica. Nell’attuale società globale entriamo a contatto con filosofie, teologie e religioni diverse. Ognuna di esse è “portatrice di un senso” del mondo. Abbiamo pertanto una variegata offerta culturale, una pluralità di possibili sensi della vita. Talvolta questa offerta ci disorienta, altre volte fa nascere in noi una convinzione relativista più o meno fondata dei valori stessi.
Sappiamo che per chi vive in contesti particolari, dopo una guerra, in situazioni di povertà o in mancanza di lavoro, lo scopo della vita è dato da obiettivi immediati: trovare soluzioni efficaci ai problemi quotidiani. Forse in questi momenti le persone non soffrono crisi legate al venir meno del “senso dell’esistenza”. Ma sappiamo anche che in certi momenti si possono presentare forti dubbi sul fatto che l’esistenza abbia un senso. Ci sono uomini, infatti, che dopo crisi epocali che hanno fatto crollare il sistema di riferimento religioso o politico che orientava la loro visione del mondo, si sono sentiti smarriti, e hanno pertanto vissuto questo crollo come un fallimento generale se non proprio della loro vita, almeno delle loro convinzioni, delle loro battaglie. O hanno pensato che la vita non abbia senso.
Prendiamo ora (brevemente) in considerazione alcune attribuzioni comuni di senso alla vita.
1. Il lavoro è il senso della vita.
Il lavoro è certamente fondamentale per una persona. Dedicare energie per realizzare degli obiettivi, lavorare con grande motivazione per ottenere certi risultati offre grandi soddisfazioni. Insieme al lavoro, la famiglia e l’agire politico e sociale contribuiscono a rendere la vita piena.
2. Fare molte esperienze.
Il senso della vita potrebbe essere quello di fare molte esperienze. Conoscenze, fare esperienze piacevoli, incontri, viaggi.
3. Realizzare se stessi.
L’imperativo all’autorealizzazione suona così: crea i tuoi obiettivi e perseguili. Sarai felice. Il senso della vita lo stabilisci tu.
4. Impegnarsi nel volontariato.
Insieme al perseguimento del propri obiettivi, c’è chi sente più completa la propria vita se riesce a dedicare del tempo agli altri: all’assistenza o all’impegno politico per il bene della collettività.
Sicuramente tutti questi aspetti sono fondamentali per dare un senso alla propria vita e per vivere una vita buona. C’è chi si pone però anche un’altra questione. Quella che considera il senso della storia dell’uomo, se cioè tutta l’esistenza umana abbia un senso complessivo, un senso più grande, che comprende tutte le vite, quelle che sono vissute più a lungo e quelle che sono scomparse rapidamente. Kung scrive: “Confesso che non riesco a rassegnarmi a tutta la miseria, l'ingiustizia, l'insensatezza di questo mondo, e per questo cerco un senso ultimo nella vita, in quella degli altri e nella mia”.
C’è chi proprio a partire da queste considerazioni cerca di vivere la vita nel tempo che gli è concesso cercando di impegnarsi nei settori più diversi, nel sociale, nell’assistenza, nella politica, perché la consapevolezza delle disuguaglianze e delle ingiustizie lo motiva a mettersi in gioco in prima persona. Questo basta a dare senso alla vita? Credo di sì. Ma c’è chi chiede o cerca un senso della vita che comprenda anche la morte e che dia senso ad essa. Che spera in una giustizia definitiva e autentica. E da qui si aprono altre strade. È legittimo sperare.
Un caro saluto,
alberto lusso

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