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Cor-rispondenze

lunedì 19 ottobre 2009

A cosa servo io?


Caro professore,
C'è stato un periodo nella mia vita in cui tutto ciò che facevo era sbagliato. Ero sempre in lite con la mia famiglia, litigate grosse e senza un motivo in particolare; con gli amici era nata una specie di indifferenza che però a me importava. Una sera, durante una delle ormai soventi litigate, mia madre, arrabbiatissima, mi ha detto: "continua a vivere nel tuo mondo, ci credo che non hai fatto nulla di male, perché non fai nulla ".È vero, a cosa servo io? Se non servo a nulla perché sono nata? Fa male sentire cose del genere dette da una persona che, sono più che sicura, mi reputa la cosa più importante che ha, ma questo l’ho capito dopo. Dopo essermi arrabbiata con me stessa ho capito che non è vero che sono inutile, o per meglio dire me l'hanno fatto capire. Secondo me, se non ci fossi la vita di tutti quelli che mi circondano non sarebbe così... Io alla fine non sono che un anello di una lunghissima catena, questa è resistente proprio perché ci sono anch'io, e non posso essere sostituita, perché qualsiasi altra persona non combacerebbe così bene come me. All'inizio mi sembrava un po' egoistico come ragionamento, ma è l'unico che è riuscito a sollevarmi un po’.

Sara

Cara Sara,
Hai ragione, la consapevolezza di “essere un anello di una lunghissima catena” non offre una grande consolazione, e non è che possa sollevare molto il morale. Già, a cosa servi? Il verbo servire richiama il concetto di utile. Ed evoca un modo di pensare tipico della nostra società tecnologica. Spostiamo il concetto di utile dalle cose alle persone senza neppure accorgercene. Il martello è utile, una persona no. Le persone non sono a nostra disposizione come delle cose. Le persone non sono utili o inutili. Sono venute al mondo proprio come siamo venuti al mondo tu ed io. Le persone sono nel mondo e nel mondo devono inventarsi il loro destino, devono decidersi tra alternative diverse e, nel decider-si, decidono di sé. Allora mi vengono in mente cinque cose. 1. La tua presenza è il senso della vita dei tuoi genitori. Il modo di stare al mondo degli uomini è quello dell’esistenza (ex-sisto, sto-fuori), ossia un modo diverso di stare al mondo rispetto a quello degli oggetti. Non siamo semplici presenze, cose tra le cose; “stiamo fuori” da questa condizione, perché grazie alla coscienza abbiamo la possibilità sia di orientarci nel mondo, ma soprattutto di dare significato a ciò che facciamo. Allora tu rappresenti innanzitutto il senso della vita dei tuoi genitori, perché prima di cominciare ad amare te hanno cominciato ad amare il pensiero di una nuova vita di cui prendersi cura. Sei stata parte dei loro segreti, dei loro progetti, di lunghissime telefonate, di chiacchierate senza fine, di notti insonni. I tuoi genitori hanno dovuto ridefinire continuamente il loro rapporto, e nel momento in cui sei venuta alla luce si sono assunti delle responsabilità non solo nei tuoi confronti, ma anche nei confronti della vita in generale. Già il pensiero della tua presenza li aveva obbligati a rispondere della loro vita e a ridefinire le loro priorità. Per dirla con un paradosso (o con un po’ di ironia): “prima che loro “servissero” te, tu sei “servita” a loro” (ma non dirglielo). Pensa: prima della nascita. Quindi fino ad ora hai già fatto moltissimo, anche se non te ne sei accorta. Non sei un anello che si aggiunge ad una catena, o un colore nuovo che si aggiunge alla tavolozza della vita, ma sei una presenza che instaura relazioni addirittura prima della nascita; 2. I tuoi genitori sono diventati tali, grazie a te. Ognuno di noi è fatto di relazioni, e diventa quello che è grazie ai legami con gli altri che, come cordoni ombelicali in partenza e in arrivo, nutrono e modificano le persone. Nessuno diventa quello che è se non si relaziona con le altre persone. Quindi: tua mamma e tuo papà sono tali non solo per il fatto procreativo, ma perché sono in continua relazione con te. È questa relazione che ha consentito (e consente) loro di “diventare” papà e mamma. Il dialogo continuo con te. In questo dialogo, che a volte è faticoso, tra identificazioni e progressivi distacchi, tu costruisci la tua identità, ma anche i tuoi genitori costruiscono la loro. 3. Anche le altre persone (amici, compagni, nonni) conquistano la loro identità grazie alle tue relazioni. La tua presenza è sempre importante, tanto importante che quando il tuo banco è vuoto si sente la tua mancanza; e più sono i giorni di assenza, più i compagni e gli insegnanti sentono la necessità del tuo ritorno.4. Fino ad ora ho utilizzato il verbo servire senza discriminare i suoi significati, ma ora credo che valga la pena ancora di indicare alcune oscillazioni. Possiamo intendere “servire” sia in modo passivo sia attivo; passivamente, può voler dire “diventare servo”, sottostare a qualcuno, subirne l’azione o il potere; ma in senso positivo, indica invece un’azione volontaria. Allora nelle decisioni della vita (che implicano sempre un decidere-di-noi) possiamo fare in modo che la nostra vita “serva”, cioè abbia valore, proprio se maturiamo la capacità di “servire”, ossia la capacità di prodigarci per qualcuno, di aiutare, di rispondere alle richieste implicite o esplicite di una o più persone. 5. ….Ah, dimenticavo. La tua vita è importante anche per i tuoi insegnanti, per Alessandra, e per me. Perché senza le tue domande e quelle dei tuoi compagni sarebbe diversa anche la mia vita; ad es., potrei viverla in modo più superficiale, mentre i quesiti mi fanno sentire più responsabile, e mi ricordano che il mio compito non è solo quello di trasmettere delle informazioni, ma è quello di crescere insieme a voi.


Un caro saluto,

Alberto

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